Diario
11 febbraio 2008
La notte della Ragione
L’invito, se possibile, è a leggere questo articolo prima di tutto come
uno scandalo logico-semantico, e solo in secondo luogo, eventualmente,
come la denuncia di una macroscopica ingiustizia, peraltro ormai nota
al mondo intero. La notizia è questa: una lista di 162
professori universitari, in maggioranza ebraici, pubblicata da un non
meglio identificato “blog”, ha scatenato un finimondo a livello
mediatico e politico, risolvendosi in una condanna compatta e univoca
contro gli autori di quella lista. "Siamo in presenza di un
evento inquietante - ha detto Anna Foa, docente di Storia moderna
dell'università La Sapienza di Roma - Chi si è reso autore di questa
iniziativa delirante ha commesso un reato e va punito". Mentre il
rettore Renato Guarini, “interpretando i sentimenti di tutta la
comunità universitaria”, lo ha definito un “inaccettabile atto di
intolleranza". Chiude la fiaccolata dello sdegno l’immancabile Walter
Veltroni, con un chiaro invito al “rifiuto di ogni forma di
discriminazione e di odio".(ANSA). Ma che cosa conteneva di così grave questa “lista”? Di cosa erano accusati, coloro che vi comparivano? Di "fare lobby". Questa è la notizia ufficiale, riportata ieri dai giornali e dalle TV. Ohibò,
“fare lobby”. E in che cosa consisterà mai, questo curioso peccato
capitale, del quale non si può accusare nessuno senza addirittura
“commettere un reato”? Trattandosi di una parola inglese, ci rivolgiamo direttamente al dizionario, ... ... dove troviamo questa definizione: LOBBY: “A
group of persons who work or conduct a campaign to influence members of
a legislature to vote according to the group's special interest”.
“Un gruppo di persone che si adoperano o conducono una campagna per
influenzare i membri di una legislatura a votare secondo gli interessi
particolari di quel gruppo”. Dov’è il problema, quindi? Una
volta stabilito che si utilizzino esclusivamente dei mezzi legali per
“influenzare” i legislatori, non si comprende dove possa stare la
pietra dello scandalo. Non solo le lobby in Italia non sono
proibite – in America poi sono una vera e propria istituzione - ma
fanno parte integrante di una società che da un lato è basata sulla
competizione e sul libero mercato, e dall’altra sulla sacrosanta
libertà di espressione. Se quindi io voglio convincere un
parlamentare a promuovere una legge che favorisca le auto a olio di
colza invece di quelle a benzina, perchè mai non potrei farlo? Nel
libro di Mauro Fotia “Le lobby in Italia: gruppi di pressione e
potere”, c’è addirittura una sezione intitolata “Lobby e Istituzioni”,
nella quale ad esempio leggiamo
(pag. 29): “Una lobby è altresì in grado di presentarsi come la fonte
più autorevole delle informazioni più aggiornate nel settore in cui
opera e in ogni caso di risultare di gran lunga superiore alle fonti
autonomamente attivabili dalla presidenza delle camere, delle
commissioni o dai singoli parlamentari. Infine, una lobby ha la
concreta possibilità di dimostrare plausibilmente la congruenza fra i
suoi interessi specifici e quelli più generali, almeno, ma non solo,
per quanto attiene alla regolamentazione della tematica di cui si
occupa.” Che cosa c’è quindi di così scandaloso nel sentirsi
accusare di “fare lobby”? Anzi, visto che le persone elencate in quella
lista hanno chiaramente degli interessi in comune, sarebbero ben poco
astuti ad agire ognuno per conto proprio, senza coordinare i loro
sforzi verso un obiettivo comune. Dove starebbero quindi l’odio
e la discriminazione di cui parla Veltroni, da parte di chi li “accusa”
di “fare lobby”? Ma dove starebbe soprattutto il “reato” compiuto da
costoro, nel pubblicare quella lista, visto che si sostiene che un
certo gruppo di persone compie un’azione del tutto legale? Lo
ripetiamo, per maggiore chiarezza: o ciò che fanno questi professori è
illegale, e allora vanno semplicemente arrestati e processati, oppure è
legale, e allora non si comprendono ne l’ “accusa” da parte dei
blogghisti ai professori, nè lo scandalo da parte di questi ultimi, nè
soprattutto dove stia il “reato" dei primi. Siamo di fronte a un
tale paradosso logico-semantico, che viene il sospetto che al gruppo di
professori abbia dato in realtà fastidio il semplice fatto di essere
stati “elencati”. E’ possibile cioè, essendo ebrei, che il fatto stesso
di veder comparire il proprio nome in una qualunque lista possa evocare
in loro i tristi ricordi delle leggi razziali, delle deportazioni e dei
campi di concentramento. Forse è questa la “discriminazione” di
cui parla Veltroni, nel tornare in qualche modo a “ghettizzare” gli
ebrei di oggi, e in questo senso si può anche dargli ragione. “Fare le
liste” è brutto comunque, per principio, perchè scava inevitabilmente
un solco fra gli esseri umani che diventa poi più difficile da
appianare. Non è bello dire “i negri”, “gli omosessuali”, o “le
donne” - anche se si vuole magari difendere la loro categoria - perchè
nel farlo si riafferma comunque una loro “diversità", discriminandoli
in ogni caso. Anche in questa ipotesi, però, la logica si
scontra con i dati di fatto: non sono gli ebrei stessi a sostenere di
essere diversi? Non dicono loro di essere il “popolo eletto”? Un volta
chiarito che “popolo eletto” non significa necessariamente “favorito”
(per quel che ne sappiamo, possono anche essere stati “scelti” per
prendere botte da tutti, e sui disegni del Creatore non possiamo certo
metterci a discutere), resta il fatto – storico, innegabile e
onnipresente – che siano sempre stati gli ebrei a non volersi mescolare
al resto dei “goyim”. Padronissimi di fare gruppo a parte,
naturalmente, ma questo impone ora di escludere un risentimento da
parte loro per essere stati identificati come ebrei. Sono i primi a far
notare al mondo si esserlo, e ci tengono pure da morire. Quindi? Che cosa ci rimane, a questo punto? Rimane solo quel fantasma, indefinito e inafferrabile, chiamato “antisemitismo”. Tu
ce l’hai con me - sostiene l’ebreo che accusa un non-ebreo di
antisemitismo - e questo non puoi farlo. Tu non mi puoi odiare, non mi
puoi schernire, non mi puoi disprezzare, perchè io ho già avuto sei
milioni di morti, e ho sofferto abbastanza. Ora, gli ebrei -
almeno quelli intelligenti - non pretendono certo di stare simpatici a
tutti, però chiedono - pare di capire – di tenersi per sè eventuali
antipatie, per non fomentare ulteriormente violenza contro di loro. E
si potrebbe pure dargli ragione, anche perchè il pregiudizio non è
comunque una bella cosa, e alimentarlo negli altri va evitato in ogni
caso. Ma allora perchè, ci si domanda, quando Oriana Fallaci
parla dei musulmani come se fossero topi di fogna, le sue parole
finiscono addirittura in prima pagina sul Corriere, e nessuno trova
nulla da ridire? Che differenza c’è fra parlare male di un
musulmano – o di tutti i musulmani insieme - e parlare male di un
ebreo, o di tutti gli ebrei insieme? Seminando disprezzo verso
una qualunque etnìa, gruppo o religione, non si fomenta forse un
eventuale odio latente verso quella etnìa, gruppo o religione,
qualunque essi siano? Che differenza c’è, quindi, fra un
“antisemita” e un “antimusulmano”, e perchè mai il primo andrebbe
“punito” a termini di legge, e il secondo addirittura premiato con le
prime pagine dei più prestigiosi quotidiani? Forse perchè gli ebrei hanno avuto l’Olocausto, e i palestinesi no? Anche
qui si va a cozzare dritto contro la storia: il fatto che nelle scuole
non si insegni che cosa è stata la Nakba non significa che non sia mai
esistita. Ne vogliamo davvero parlare? Quindi, siamo punto e
accapo: non si riesce a trovare un solo motivo valido di risentimento,
da parte di quei 162 professori, che non sia il fatto stesso di essere
stati “elencati”. E allora guardiamo bene che cosa ha fatto, ad
esempio, lo Steven Roth Institute, un organismo con base a Tel Aviv che
si occupa di catalogare e denunciare, paese per paese, i mille fatti di
“antisemitismo” che accadono nel mondo: Ha pubblicato una
lista! Anzi, ne ha pubblicato dozzine, di liste, una per ogni nazione
in cui essi ritengono che esista anche solo un potenziale focolaio di
“antisemitismo”. Nella pagina che riguarda l’Italia
troviamo elencati, ad esempio, il “Partito dei Comunisti Italiani”, il
“Partito della Rifondazione Comunista” e la “Federazione dei Verdi”,
che sono fra l’altro definiti degli “anti-parliamentary parties”,
ovvero dei partiti in qualche modo “contro il Parlamento” [?]. Sono
poi elencati, con nome e cognome, gli esponenti più in vista delle
varie associazioni islamiche, come ad esempio Roberto Hamza Piccardo,
oppure il chirurgo siriano Mohammad Nur Dachan, divenuto cittadino
italiano. Ci sono scrittori come Dagoberto Bellucci, Claudio Mutti o
Maurizio Blondet, siti Internet come 11settembre.net, Disinformazione o
ComeDonChisciotte, e quotidiani come il Manifesto o lo stesso Corriere
della Sera. Insomma, paragrafi e paragrafi di elenchi dai
quali non sembra salvarsi praticamente nessuno: tutti in qualche modo
ce l’avrebbero con gli ebrei, e tutti vengono accuratamente etichettati
e catalogati come “antisemiti”. Dal che si deduce, per tornare
al discorso iniziale, che sia lecito elencare chi è “antisemita”, ma
chi è “lobbysta” no. Siamo cioè alla notte della Ragione.
Massimo Mazzucco (luogocomune.net)
| inviato da salentolibero il 11/2/2008 alle 19:19 | |
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